CRITICA

Lanfranco Scorticati  pittore

 

COSI’ HANNO SCRITTO DI LUI:

    Raffaele De Grada, in “Presentazione alla Mostra antologica Lanfranco Scorticati, il Sentimento del vero, Musei civici, Reggio    Emilia, 2002: 
Racconto e continuità nella pittura di Lanfranco Scorticati 

[...] Come gran parte dei pittori degli ultimi due secoli, Scorticati ha attinto dalla natura il soggetto permanente, instancabile, della propria vocazione; dovunque egli si trovasse da Milano a Marsala, a New York gli aspetti della natura chiedevano a lui di essere rappresentati e ogni volta sembrava che questo fosse l'istante unico di una emozione da consegnare in modo definitivo. Scorticati non si fermava all'impressione, ogni quadro era un discorso chiuso, una scoperta e un addio. Non era lui a stancarsi della natura, semmai erano le cose e gli umani a stancarsi di lui. Come a dire che un ritratto o un paesaggio fossero nella sua pittura un tutto unico, irripetibile, non una ricerca ma una prova definitiva.
Questa è l'idea centrale che emerge dalla personalità di Scorticati a partire dai suoi dipinti dagli anni Trenta in poi, una contemplazione calma nel paesaggio, nel ritratto, nella natura morta, sciolta dal tempo, priva delle inquietudini della ricerca e con il senso tranquillo dell'opera compiuta.

Nelle foto: Milano El tumbun de San Marc 1957; il Porto di Marsala 1983; N.Y. Le torri gemelle 1979

Pittore emiliano alla buona scuola di Ottorino Davoli, di Scorticati in un dibattito in Consiglio comunale, Giuliano Rovacchi disse opportunamente, in occasione della proposta dell'attuale mostra commemorativa: "il nostro Lanfranco Scorticati di Davoli è stato un allievo che ha continuato questo stile dell'arte che gli è stato riconosciuto fino ai giorni nostri e che è stato definito quel "naturalismo padano" che ha caratterizzato la sua immensa produzione artistica le cui radici affondavano nella nostra terra e nei costumi delle nostre genti ".
Ben detto: se si guardano i primi ritratti di Scorticati si sente che sono persone ben conosciute dall'autore (incominciando naturalmente dalla madre), circondate da quell'alone un po' misterico che è proprio della gente di paese, non ritratti "nobili" ma caratterizzati da quell'identità con cui il buon senso popolare li distingue dalla massa, nella loro specificità esistenziale che spesso si affida a un nomignolo.

Ha soltanto 26 anni Lanfranco Scorticati quando, con una già solida istruzione artistica e una grande passione culturale, si trasferisce a Milano dove vivrà fino ai suoi ultimi giorni. Per vivere, farà anche il restauratore di dipinti, fornito com'è di un buon mestiere e di tanta buona volontà.
In armonia con la sua passione per la musica, Lanfranco frequenta il loggione della Scala dove conosce Nina Del Ben, l'unica donna della sua vita con la quale si sposa alla vigilia del tragico settembre 1943.

Milano è la città degli incontri e Scorticati, che frequenta la Scuola Libera del Nudo a Brera (lui che è un maestro della pittura di nudo) conosce pur nella sua timidezza tutti i pittori di quel tempo a Milano. Ma anche se la sua pittura rientra nell'ordine del novecentismo di quell'epoca che precede la guerra, da Funi a Salietti, Scorticati naviga solo, come un colto naïf del momento. Del novecentismo egli non ama il senso ripetitivo e ideologizzante della pittura, figure figure, paesaggi paesaggi, studi di accostamenti di natura morta. Tra un quadro e l'altro si alza insensibile, il grande silenzio della poesia per cui ogni ritratto, ma anche ogni nudo, è sempre nuovo. Nel paesaggio poi la novità è anche nel motivo. Del resto la grande sirena di Parigi lo attrae per tempo suggerendogli paesaggi molto suggestivi sulla scia dei luoghi degli impressionisti, a Vétheuil, ad Argenteuil, i luoghi di Monet, di Pissarro, di Sisley. 

Nella tematica di Scorticati prende un gran posto la pittura di "nudo", nudi femminili, come nelle opere di Emilio Gola e poi del suo allievo Donato Frisia, semisvestiti, una sottoveste, un reggiseno. Il perbenismo ancora imperante porta a sciocche reticenze in materia. "Sono sensuali?" "Sono puri?" E così via. Un nudo è sempre un nudo purché non sia, come in gran parte della pittura del Novecento, un solo pretesto di forma e di volume. Anche nei nudi di Scorticati c'è pur sempre un sottinteso sensuale nella pienezza delle forme, nelle luci smorzate oppure solari con cui egli dipinge. Scorticati forma i suoi nudi con lo stesso gusto con cui dipinge i suoi paesaggi, con lo stesso piacere del pittore che non vuole essere disturbato dal dramma della vita. Si gode di un giardino, di una campagna, come ci si può immergere nella contemplazione di un volto infantile e di un nudo adolescente. La bellezza non deve essere turbata, questo ci dicono i grandi artisti, da Tiziano a Renoir.

Ho conosciuto Lanfranco Scorticati e la sua cara moglie Nina e ho frequentato la loro casa piena di quadri e di oggetti di antiquariato in Via Montebello 14, a Milano. Mi faceva impressione che un uomo colto e navigato come lui avesse conservato tale candore infantile nel comportamento. Tra gli oggetti che si vedevano intorno e che da un momento all'altro potevano essere accostati in una "natura morta" ideale, mi stupivo di vedere anche dei veri e propri giocattoli, quelli che fanno la felicità dei bambini e che certo potevano inserirsi nel mondo fantastico del fanciullo Scorticati.
Lo incontravo spesso intorno a San Marco, in quelle piovose giornate milanesi che invitano a sonnecchiare nel tempo che passa. Si capiva che i fatti della vita con la troppo scarsa considerazione in cui era tenuto il suo lavoro, ledevano non poco la sua anima che però non sanguinava perché il "piccolo" (di statura) Scorticati aveva un carattere forte e una giusta considerazione di sé e degli altri. 

Come gli artisti di una volta Scorticati viveva in modo modesto, anticonsumista. Queste considerazioni sembrano pleonastiche, da libro "cuore", ma io le avanzo perché ritengo che il consumismo e la civiltà perversa del danaro hanno, oltre al resto, rovinato le arti, spingendo gli artisti al mercantilismo e alla orribile concorrenza pubblicitaria. Si capiva che Lanfranco aspettava una voce oltre al muro bianco del silenzio, non pubblicità ma conforto e io mi sono sentito sempre molto vicino agli artisti come lui.

L'unico lusso che Scorticati si permetteva era il viaggio, la conoscenza degli altri paesi europei dall'Olanda alla Germania, dalla Francia alla Spagna, l'Austria, la Svizzera. Ma anche gli Stati Uniti, l'Egitto. Quando giungeva in un paese straniero Scorticati con la pittura cercava di cogliere non tanto gli aspetti effimeri, cartolineschi quanto i caratteri tradizionali di un paese abitato, non soltanto un motivo, cosicché a mettere tutti insieme questi quadri si costruisce un volto d'Europa e oltre. E questa è una coscienza europea.

Lanfranco Scorticati mi parlò sempre con grande dolcezza, in un mondo di ciechi vide sempre il giusto perché seppe contenersi nell'ambito di ciò che la creazione gli aveva fornito nel paradiso ideale della pittura dal quale egli per tutta la vita non decampò. Così rimase giovane per tutta la vita volendo sempre imparare, non affidandosi mai completamente al mestiere della pittura, ma lasciando sempre campo alla sua immaginazione e alla sua sensibilità.

Mi viene a mente una frase che Victor Hugo scrisse a Beaudelaire quando ricevette Les fleurs du mal  (30 ag. 1857): "L'arte è come l'azzurro: un campo infinito; voi l'avete provato".                                                 (Raffaele De Grada)



   Gianluca Ruggerini, Lanfranco Scorticati e il "sentimento del vero", Un percorso artistico tra le poetiche del "Ritorno all'ordine" e la rivoluzione Informale, Reggio Emilia 2002: 
     Patrocinata dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Reggio Emilia e dai Civici Musei, il 16/03/02 è stata inaugurata la mostra "Lanfranco Scorticati, il sentimento del vero", retrospettiva  che intende rendere omaggio alla figura dell'artista reggiano già a suo tempo considerato a livello nazionale. Lo Scorticati si colloca in quel panorama novecentista di "Ritorno all'ordine" che -dalla metà degli anni Venti - si concretizza nel riposizionamento post-impressionista di autori del calibro di Ardengo Soffici, Ottone Rosai, Primo Conti, Renato Paresce, Massimo Campigli, per citarne qualcuno. 

La mostra, che rimarrà aperta fino al 14/04/2002 (presso la Sala Esposizioni dei Musei Civici di Reggio Emilia, dal martedì al venerdì dalle 9 alle 12, sabato dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 19, domenica dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19), ripercorre attraverso un significativo numero di opere l'intera carriera dell'artista, fino alla sua scomparsa nel 1999, offrendo al contempo più ampia occasione di rilancio per una stagione figurativa al limite -spesso -della svalutazione da parte della più recente contemporaneità. 

Nato a Rivalta (RE) nel 1911, Scorticati lega il proprio apprendistato alla figura di Ottorino Davoli, docente in quegli anni presso l'Istituto d'Arte "G. Chierici" di Reggio Emilia. L'artista si trova subito ad operare in un clima culturale sensibilmente raffreddato rispetto al parossismo intellettuale delle Avanguardie cubo-futuriste. Poco importa che nel '37 egli si trasferisca a Milano per cercare gloria e stimoli al di fuori della provincia. Se infatti nell'Italia che nel 1911 gli aveva dato i natali, i vari Balla, Boccioni, Carrà, Russolo, Marinetti, Severini erano stati interpreti di un'urgenza meccanomorfa alimentata da ottimismi prebellici e miraggi di progresso tecnologico, gli anni dell'immediato dopoguerra - anticipati e introdotti dalla parentesi metafisica di De Chirico e compagni -avrebbero riaperto internazionalmente ad un più cauto revival stilistico. Da Parigi a Berlino, da Roma a Milano, si assiste ad un vero e proprio ritorno all'ordine, ove si rivaluta l'eredità del passato (anche nei termini profondi di un recupero di stili di vita e tradizioni) e se ne predispone un riscatto sistematico in ragione di già acquisite codificazioni formali. 

Per inquadrare le coordinate di questa stagione artistica e culturale [1] si consideri che, a fianco del tentativo di validazione a posteriori del fenomeno metafisico -intentato dalla rivista "Valori plastici" (1919 -1922) proprio mentre De Chirico e Carrà andavano sciogliendo il loro sodalizio sono artisti quali Arturo Martini da una parte e Ardengo Soffici dall'altra a dettare -fra i primi tempi e modi dell' "implosione". Il primo indirizza il proprio sforzo al recupero plastico di una figurazione che tende ad arcaismi estremi - spesso coltivati sull'eco delle stilizzazioni espressioniste -cercando richiami che esaltino la distanza della rappresentazione in luogo della compartecipazione emozionale con il rappresentato. Il secondo, invece, contro le tentazioni ideologiche e culturali del nuovo, asettico urbanesimo, propone uno "strapaesismo" nostalgico, dal sapore a volte sospetto di autentica restaurazione impressionista (o comunque ottocentista). In Soffici, l'esasperazione sensista dei temi del vernacolo nega alla figurazione qualunque possibile connotazione magico-simbolica, dispiegandola in fenomenismi densi di immanenza (senza concessione alcuna alla regressione arcaizzante additata dalla Metafisica). Tra questi due riferimenti estremi viene a coagularsi -in ragione delle rispettive sensibilità individuali - la ricerca degli artisti che citavamo in apertura (Rosai, Conti, Tozzi, Paresce, Campigli). 

Anche Scorticati aderisce alla scelta revisionista, facendola propria con un'esplorazione formale ammiccante a Soffici più che ad altri. Una pittura sensuale ed estetizzante (più che arcaizzante), ove 
temi e forme si ammantano di intimistica concentrazione: questa è la via porterà l'artista reggiano ad inseguire sino alla fine ciò che egli stesso definirà "il sentimento del vero". Le sue opere degli anni Trenta e Quaranta rivelano un linguaggio fortemente aderente alle ragioni della coscienza popolar-borghese: i valori della famiglia e della casa, unitamente ad una pudica attrazione per quelle icone di genere tradizionalmente caratterizzanti la cultura borghese (la natura morta, il ritratto, il nudo femminile…), ne divengono cavallo di battaglia. E nemmeno il trasferimento a Milano, già all'epoca metropoli europea, ove lo Scorticati frequenterà gli ambienti di Brera venendo a contatto con l'eredità artistica dei "Novecento" (Mario Sironi, Achille Funi, Ubaldo Oppi, Enrico Dudreville, Piero Marussig, Anselmo Bucci, Emilio Malerba, tutti fermamente contrapposti al sensualismo strapaesano in nome di un'intellettualistica apertura alla Metafisica, al Realismo magico e al Surrealismo) [2], intaccherà quella vena di misurato pathos rilevabile in ogni centimetro della composizione dell'artista. In questo senso, Lanfranco Scorticati esprime bene la coerenza dell'artista fedele a sé stesso e fedele soprattutto a quell'interiore "sentire" che tanta corrispondenza trova - in lui - con i soggetti e con i modi della scelta pittorica operata. 

Anche il confronto con il pendant romano del Novecento lombardo (quella sorta di prima edizione della "Scuola romana" che raccoglie Antonio Donghi, Riccardo Francalancia, Gisberto Ceracchini, Virgilio Guidi, Carlo Socrate, Francesco Trombadori) ci restituisce uno Scorticati saldamente ancorato ai tempi fisiologici della propria evoluzione culturale e stilistica. Per cominciare, egli rifiuta sistematicamente il tono epico, optando per registri più dimessi e confidenziali, distanti tanto dalla maniera tenebrosa di Sironi (spesso ripiegata nella celebrazione storica della periferia industriale e del sui portati esistenziali), quanto dalla chiara e sovraesposta volumetria di Donghi (che lascia emergere la levigata perfezione dei corpi come guidata da un’ispirazione neoquattrocentesca). 

Lo Scorticati attinge visibilmente alla maniera impressionista -particolarmente attenta alle valenze tonali del colore - soprattutto quando sposta la propria attenzione dalle scene d’interno alle vedute urbane. Quella luce che -per quanto sempre fisica e mai mentale -nell’ambientazione domestica plasma ed evidenzia con giochi di contrasto la volumetria dei corpi, andandone consapevolmente a svelare la dimensione interiore (il sentimento del vero), si fa più distratta e disimpegnata esplorazione fenomenica nel plein air cittadino. Sono le tematiche che arricchiscono la produzione degli anni Cinquanta e Sessanta e che gli danno modo di sviluppare l'indagine sensista attraverso rapporti luce/colore via via più fluidi e leggeri. E’ evidente in ciò la lezione di un altro grande isolato quale Filippo De Pisis, dal quale lo Scorticati recupera il senso del “non finito” ed una pittura rapida che aggredisce il supporto (sempre più spesso la tavola piuttosto che la tela) investendolo suo malgrado di valenze cromatiche. A fianco dei nudi ancora classicamente femminili (in questo si evidenzia comunque la distanza dall’eccentrico e provocatorio De Pisis) e delle menzionate vedute urbane (non di rado legate a suoi viaggi all’estero), Lanfranco Scorticati rivede in questi anni l'architettura delle sue nature morte, assoggettandola tematicamente al registro 
favolistico del collega ferrarese (in alcuni casi, la citazione visiva delle celebri nature morte con marina" è palese). 

Intanto, in Italia il "raffreddamento" novecentista va esaurendo la propria vocazione mediatica come visto, spesso condotta in termini di contrapposizione - fra "Strapaese" e "Stracittà" [3] e la ricerca figurativa, confermatasi sostanzialmente autonoma rispetto alle elaborazioni "magiche" ed oniriche di Germania, Francia e Belgio (Neue Sachlichkeit, Realismo magico, Surrealismo…), si appresta ad accogliere e riorganizzare le suggestioni della stagione dell'Informale. "Corrente" e Scuola romana continuano a rappresentare i poli di attrazione per una pittura che fatica a piegarsi tanto all'astrazione spazialista di Lucio Fontana e dei "Nucleari" (Crippa, Dova, Peverelli…), quanto al concretismo di Cagli e Capigrossi o all'intensità polimaterica di Alberto Burri. Ma mentre 
artisti del calibro di Renato Guttuso, Armando Pizzinato e Giuseppe Migneco dichiarano la propria fedeltà alla figura-forma indirizzandosi verso un Neorealismo stracarico di implicazioni politiche, Scorticati conferma, anche in questa fase di eccitata provocazione ideologico-culturale, quella serenità che lo aveva sempre avvicinato allo spirito semplice e gentile della provincia. La realtà a cui si ispira continua ad essere quella intimamente "vera", di tutti i giorni, al di qua delle strumentalizzazioni o della denuncia ad ogni costo. Tecnicamente parlando, da questo momento la pittura dell'artista reggiano interpreterà la propria scelta di campo attraverso una maggior condensazione cromatica: l'impianto lineare perde progressivamente terreno rispetto all' "impressione" suscitata da un colore-luce comunque puntuale nell'arrestarsi a due passi dall'Informale [4]. 

La vicenda umana e artistica di Lanfranco Scorticati si concluderà a Milano nel 1999, proprio laddove era idealmente cominciata: in un'inesausta ricerca del portato emozionale dei suoi soggetti (persone luoghi o cose che fossero), ragionevolmente distanti da preoccupazioni di raccordo intellettualistico tra forma e contenuto e dichiaratamente liberi di offrirsi a chi volesse coglierne 
l'intimo sentimento esistenziale; "il sentimento del vero".                 (Gianluca Ruggerini)
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Note 
[1] Una fondamentale rivalutazione dell'arte di quegli anni la si deve alla fortunata serie di mostre che tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80, tra Milano (1976), Berlino (1977, Tendenzen der Zwanziger Jahre), Venezia (1979), Roma (1980-81), Parigi 1980-81, Le réalismes), hanno inteso recuperare la riflessione culturale degli artisti del "ritorno alle origini" (citazionismo, revivalismo, nuova oggettività, realismo magico…). 
[2] L'etichetta del gruppo è stata coniata nel 1924 dalla teorica Margherita Sarfatti, in occasione di un'esposizione milanese presso la Galleria Pesaro. 
[3] Soffici vs Sironi/Bontempelli (sodalizio - quest'ultimo - artistico/letterario) 
[4] Evoluzione già rilevata, peraltro, nell'ultimo Impressionismo (opere tarde di Monet e Renoir, ad esempio), in quel caso quasi a preconizzazione dell'Informale 

IN ORDINE CRONOLOGICO:

    Ottorino Davoli, in “Il Solco”, 31 maggio 1935: “…Scorticati, un giovane alle prime armi, rivela attraverso gli ottimi risultati sovente raggiunti, lo sforzo sempre nobile di una ricerca umile quanto sincera. Con tale amorosa cura di fare e di far bene, egli s’acquista facilmente una cordiale simpatia. Dove però lo Scorticati fa veramente bene è naturalmente quando gli accade di svincolarsi dalle preoccupazioni di errare, di essere scorretto, quando gli riesce insomma di liberarsi da ogni prevenzione scolastica e dalle costrizioni del committente, e allora gli può riuscire d’un fiato quella briosa pittura del piccolo quadro intitolato “Ardita” che è forse il migliore fra i suoi”.

    Radius, in “Il Corriere della Sera”, 29 marzo 1940: ”... Scorticati dà prova di un piglio franco e cortese a cui una più rigorosa educazione del tratto non potrà che giovare…”. 

    “Il Sole”, 30 marzo 1940: ”Lanfranco Scorticati, un giovane esordiente, che possiede una buona tecnica e nei ritratti sa sviluppare le caratteristiche del soggetto, mentre nei paesaggi sa esprimere un efficace rilievo…”. 
    
    Leonardo Borgese, in “L’Ambrosiano”, 19 aprile 1940: “…nelle cose più recenti, come alcuni paesaggi, Scorticati sa acquistare una scioltezza e una chiarezza se non spadiniana, di genere assai prossimo”.

    Argo, Lanfranco Scorticati, in “Il Solco”, 16 sett. 1944:
    “…Non è artista dai mezzi termini, Scorticati; non paventa di affrontare il colore, risolvendolo equilibratamente, per conto suo, e, d’altra parte, sa ottenere effetti di pregio senza dar mai a notare non diremo uno sforzo persistente, ma anche soltanto uno strappo o uno scatto momentaneo [...] In Scorticati un pittore che non si appaga facilmente dell’esteriorità, come può sembrare all’occhio del non esperto o del frettoloso visitatore, ma veramente un pittore che intende, e vi riesce, penetrare nell’anima del soggetto per ricavarne e offrirne in sintesi quello che chiamiamo carattere…”. 
    A conferma di ciò Argo riporta nell'articolo due riproduzioni di ritratti. Una è del suo inseparabile amico, il tenore Ferruccio Tagliavini, conosciuto durante i primi anni degli studi di musica.

    Spartaco Balestrieri, Mostra dei disegni di Lanfranco Scorticati , Presentazione della mostra, “Saletta del disegno, Gatto Nero”, Milano, maggio 1949:
”Scorticati è ancora uno di quei rari pittori provinciali che non si lasciano inurbare dalle metropoli. Artista emiliano, se n'è andato un giorno a Parigi, trapiantandosi poi a Milano, ma anche i suoi disegni parigini spirano un'aria così di casa nostra, da far finalmente pensare che la forte razza dei pittori più propriamente nostrani non ha fatto la fine dei pellirossa. In tutti questi disegni, non ci sono i lenocinii dei profeti adescatori intellettualistici metropolitani, bensì un patriarcale impianto estetico e contenutistico, moderno non con l'effimera attualità degli snobbisti smidollati, ma col duraturo rinnovamento d'un virile lavoratore…Disegnatore, dunque, libero e dinamico, lo Scorticati, "elegante e cortese" anche nel disegno col pitaletto del bambino e nei sensibili nudi da cui non traspare sensualità, bensì casto amore per la donna”.  

    Spartaco Balestrieri, in “La Brianza”, 10 giu. 1949:
"…Ecco, finalmente un pittore lontano da ogni scuola o tendenza. Senza, dunque, il “gergo” dei tanti, quella particolare giustificazione che antepongono e che chiamano problema come se si potessero dipingere i problemi, che sono di qua dell’opera, mentre sul quadro c’è, si voglia o non si voglia, una soluzione, più o meno oscura e aderente alle intenzioni. Nel quadro problema e soluzione sono tutt’uno. Chi dice: io mi sono posto innanzi un problema, io voglio qui rappresentare un quesito, ci avverte di una sua inefficace tecnica, di una sua oscurità che non diventa chiarezza, solo per tale denuncia. Ci vuol altro. Siamo solo alla giustificazione. Storia quasi comune sono le figure di Scorticati: bambini in sonno, donne in vari atteggiamenti e abbandoni ingenui. I quadretti sono chiusi tutti nella linea morbida, senza distrazioni o divagazioni di sorta. Attimi, però, felicemente sorpresi. La linea è sensibilissima e definisce, senza equivoci, traendosi dietro la fantasia. Si insiste con una certa compiacenza su particolari e situazioni, specie nei disegni di nudo, nei quali il contorno assume una precisione quasi fotografica, e sottilmente sensuale. Le carni sono fresche e robuste, ma trattenute in clima di spiritualità ancora limpida. Felicità, dunque, di linee, che sanno chiudere immagini e gesti, condizioni note e atteggiamenti quasi convenzionali, per liberarli in un equilibrio di idillio fresco e nuovo. Scorticati non vuole superare certi limiti di armonia ed equilibrio, come è facile moda, per abbandonarsi alla veloce fantasia della linea; il suo impeto animoso trattenuto e limitato da uno squisito equilibrio, dà vita a creature ferme e nitide di gaio splendore.”

    E.Ceruti, in “Vita artigiana”, 20 giugno 1949) attribuisce ai nudi di Scorticati 
“la caratteristica dell’immediatezza e dell’abilità nel cogliere l’attimo e nel fermarlo con mano sicura e con disegno disinvolto…gli studi di bimbi ce lo fanno ricordare come buon interprete di questi difficili soggetti da ritratto”. 

    D.Bonardi, in “L’Araldo dell’Arte”, luglio 1949: “molto ragguardevoli i saggi di Lanfranco Scorticati, pittore emiliano di raffinato gusto; preciso nel raggiungere l’effetto, egli rivela acute e singolari qualità e, a nostro modo di vedere, potrà fare molto”.

    Spartaco Balestrieri, in Presentazione della Mostra di Lanfranco Scorticati, “Saletta del disegno”, ottobre 1949: 
“Lanfranco Scorticati, di cui la Saletta del disegno ordinò una mostra la scorsa stagione, si presenta con questi pochi, sensibili nudini a olio da me scelti fra molti. Egli è più propriamente il pittore dei nudi femminili, ch’egli dipinge in quantità, grandi e piccoli, accademici e scolastici, ottocentisti e classici, con una sorta di frenesia creativa. Ed in particolar modo i nudini in dimensioni minori, traggono proprio dal diminutivo dimensionale il maggiorativo di qualità per la particolare grazia e morbidezza e la loro pudica intimità. Parlando di Ingres, dice Baudelaire che –le fa così come le vede (le donne) giacchè si direbbe che le ami troppo per volerle cambiare-. Così lo Scorticati non è che s’attardi in un naturalismo epigonico dello scorso secolo, né in un impressionismo generico e gratuito, se delle sue donne ammorbidisce i contorni e ne soffonde i toni delle carni, senza volerle cambiare. Egli è fedele al vero appunto perché le ama troppo e cerca, semmai, di accostarsi a taluni di quei pittori del secolo scorso, da considerarsi i novecentisti dell’ottocento, le cui opere insegnano a scoprire sempre nuove espressioni di bellezza nella natura e non vecchie forme concrete dell’astratto.” 

    Alius, in “La Brianza”, 7 ottobre 1949: “Balestrieri  chiama Ingres, direi meglio Renoir: come Renoir, Scorticati evoca vibranti e pulsanti volumi, intesi come un inno alla perpetua linfa fecondatrice della vita e della giovinezza.” 

    Raul Viviani, in “Il Corriere degli artisti”, 15 ottobre 1949: “ Giovani corpi di belle donne nude sono stati allineati nella saletta del disegno di via Senato: onesto e sincero autore: Lanfranco Scorticati, che ha interpretato con franca e sicura pennellata i seducenti ma non lussuriosi atteggiamenti di tali snelle e piacevoli femmine che si bagnano, che si asciugano, che si pettinano, che si coricano…”. 

    Quinto Veneri, in “Giornale dell’Emilia”, 2 novembre 1949: “Scorticati predilige forse il ritratto, l’uomo interessandogli e commovendolo più della natura. In fondo, non ha tutti  i torti ché , sotto le spoglie mortali, è pure un’anima immortale, alla quale appunto, come elemento individuante, la materia appunto, mira lo Scorticati. Infatti, nel suo ritratto è costante non tanto la ricerca dell’identità somatica, quanto piuttosto la messa a fuoco del carattere spirituale…comunque in tutti questi lavori è pur evidente che lo Scorticati si è adoperato per fondere il colore col disegno, è v’è il più delle volte magistralmente riuscito.”.

    Quinto Veneri, in “Reggio Democratica”, 19 gennaio 1950, un lusinghiero apprezzamento alla pittura del maestro, in particolare ai “Nudi”, che definisce “poesia della carne”, non per trasporto sensuale, bensì per“desiderio di far vibrare tra il candore smorzato dei lini la malia delle membra dorate…per farci sentire una volta di più la prodigiosa bellezza dell’uomo fatto veramente a somiglianza d’Iddio”.

    Quinto Veneri, in “Nuova Gazzetta di Reggio”, 20 ottobre 1952: ”…la tela di Scorticati ha la stessa vivacità cromatica della tela davoliana: in più c’è un maggior controllo e talune volte uno sforzo di colori ancora più vistoso. Tuttavia Lanfranco Scorticati è rimasto un tradizionalista e ciò gli fa onore in quanto la sua opera è espressione di doti sicure, non di fortuita casualità dovuta alla bizzarria dell’estro. Per lui non si può concepire un’opera d’arte esclusivamente fondata sul rapporto tonale: occorre un disegno sicuro…”. Evidente è, tra i soggetti, la predilezione di Scorticati per la figura umana, di cui lo trasporta “la poesia che traspira dalla nudità della carne…”Gli piacciono pure i volti delle persone ed età più diverse “perché parlano un linguaggio ad esprimere il quale Scorticati ha un pennello particolarmente adatto. Non quindi la sola corrispondenza somatica lo interessa, ma l’individualità del soggetto…”.

    G. Fornaciari, in La “Nuova Gazzetta di Reggio”, 15 novembre 1957: “[NdR. L. Scorticati è ] uno dei più sensibili ma anche più sicuri ritrattisti moderni. La sua modernità rimane però sostanzialmente ancorata ai valori essenziali della tradizione e, forse, in questo equilibrio da lui saputo intelligentemente conservare, fra la sostanza legata alla saggezza antica e la forma agilmente concepita secondo criteri nuovi, è in gran parte il segreto del suo successo.”

    Leonardo Borgese, in “I bravi pittori lavorano per un mondo futuro”, Presentazione alla personale alla Galleria d’Arte “Cairola” di Milano, fine ’62: 
”…Conosco da un pezzo il pittore Lanfranco Scorticati, e  mi dispiace però di averlo ricordato di rado. Ma la colpa è anche un po’ sua. Della sua modestia e umiltà, della sua riservatezza e timidezza quasi morbosa. A fargli una lode si confonde come un bambino. E per farlo esporre ci vogliono gli argani [...] Qualsiasi imbecille oggi si crede molto intelligente  acquistando , magari in riproduzione, la pittura dei cubisti, dei futuristi, degli astrattisti, e più compra il vuoto, il superficiale, il bidimensionale, il nulla, più gli sembra di diventare ricco e di essere nutrito bene. Viceversa la povertà e l’anemia delle teste sono oggi paurose. Intieri popoli già civili soffrono di cretinismo e non capiscono nulla di pittura. Per chi lavorano dunque certi bravi pittori, fra i quali Lanfranco Scorticati? Per la gente del futuro, che sarà meglio di oggi, che si curerà, che dovrà curarsi, che guarirà, che tornerà -per forza, per amore- alla natura e all’arte naturale: altrimenti morirà, finirà male il mondo tutto. [...]  Intanto riguardiamo però i quadri di Scorticati, sicuri davvero che fra cinquanta e cento anni la gente li guarderà e capirà. Dipingendo e disegnando non è affatto timido: anzi ha spesso un fare largo, sintetico, ardito e talvolta persino espressionistico. Ha un colore assai caldo e fluido, rapido ma non disattento, sempre a posto nell’aria giusta, sia che costruisca vedute di città e campagne, sia che modelli di femmine e di bambini. Ha buona scuola e buon mestiere ed è lo stesso un istintivo, è uno che vive le cose con entusiasmo e speranza, senza tormentarle per troppo chiedere e volere. Così, i suoi lavori, mostrano sempre la qualità di essere naturali: e oggi, nel mondo di oggi tanto nemico del naturale, credo che non sia piccolo merito…”. 

    Mario Monteverdi, in “Corriere Lombardo”, 13 novembre 1962: ”l’arte è intesa come fedeltà all’aspetto delle cose, come modesta ambizione di coglierne una poesia alla portata di tutti”. 

    Ivo Senesi, Lanfranco Scorticati, in “Cimento”, 31 dic. 1962:
Una pudica semplicità che è tratto distintivo dell’uomo, oltre che dell’artista: “Lanfranco Scorticati, un validissimo ritrattista il quale, quanto più gli altri smaniano a mettersi in vista, da tutta la vita opera e lavora a nascondersi…” 

    “Gazzetta di Reggio”, 5 maggio 1963: “il ritorno alla sua città di origine del noto artista è stato salutato con il più vivo consenso… si tratta di un eccezionale evento artistico…”. 

    “L’Avvenire”, 14 maggio 1963:
“I ritratti di Scorticati  possiedono in modo encomiabile la rassomiglianza che balza subito all’occhio con chiara evidenza. Senza perdersi in ricerche di scuola, Scorticati profonde nelle sue opere un modo tutto personale che non soltanto piace ma ha in sé intimo valore: frutto di spontaneità e lealtà che comunica con immediatezza all’animo del pubblico”. 
    
  “Il Resto del Carlino”, 10 maggio1963: “Il colore è infatti una delle caratteristiche cui forse Scorticati tiene maggiormente e per il quale dimostra una notevole sensibilità. E in certi oli come “Mare agitato a Genova”, “Porto a Rotterdam” che hanno un piglio veloce, un respiro abbastanza ampio, veramente raggiunge una buona resa dell’atmosfera, un senso un poco impressionistico della luce e dell’ora…”. 

    “La Gazzetta di Reggio”, 16 maggio 1963:
“Spontaneità ma non improvvisazione [...] In certi quadri come le due belle “Maternità” si sente il ritmo compositivo che fa pensare quasi ai maestri migliori del Rinascimento, mentre vi è il senso vivo del colore proprio delle più moderne scuole d’avanguardia…”. 

    Mario Monteverdi, “Artisti Italiani Contemporanei”, Casa Editrice “La Ginestra”, Firenze 1963:
“..Figurativo, si affida al colore con generoso abbandono, riportandosi a un postimpressionismo di gustosa e viva fattura, con un fare agile, spigliato, semplice. Lontano dalla problematica attuale della pittura, egli si tiene in un suo mondo appartato […] Modesto e gentile, egli si accontenta di perseguire un suo linguaggio, che non ha pretese di rinnovamenti né di caratterizzazioni particolari…”.

    Vittorio D’Aste, in “Presentazione alla Mostra personale di L.Scorticati”, Galleria Michelangelo, Firenze, novembre 1967: ” [...]ben figura Lanfranco Scorticati, a cui la suasiva scioltezza del segno e il bel registrato cromatismo consente di eccellere fra numerosi emuli che vogliono impedirgli di primeggiare [...] Dove scopre meglio se stesso con la nota più alta del pennello, sono le “Maternità”, dove il caldo sangue che spiccia dal seno odora la gioia della donna che allatta il frutto del grembo; e nei “Nudi”, tenuti fra il casto e l’appetitoso, che destano in chi mira la voce del sangue. Anche i “Ritratti” hanno eloquenza di forma e di respiro, partecipando dell’emozione la quale spira dal pittore”.

Maria Sirtori Bolis in “Nuovo Corriere degli Artisti”(ott.- nov.- dic.- 1968) “... formidabile disegnatore”, vi presenta “alcune tele di “Nudi” di ottima composizione, come la donna nella tinozza, perfetta di forme e armoniosa nei movimenti, oltre ad alcuni riusciti paesaggi…”.

    Francesco Fiorenzola, in “L’Elleboro”, ottobre 1969: elogia i nudi femminili di Scorticati, dove “[...] osserviamo la spontanea fusione fra il calore espressivo della sensualità e il sottofondo discreto della psicologia”. Ma quello che appassiona maggiormente l’artista è il ritratto, per la possibilità offerta di “cogliere il carattere delle persone e vedere, attraverso il ritratto, dentro le persone” (secondo il testo della già citata intervista). Poco più avanti, amara è la constatazione che “la moda del ritratto è un po’ passata, soprattutto perché le persone non hanno la pazienza di posare. Per esempio, nessuno viene più a posare nello studio dei pittori, sono i pittori che devono andare in casa delle persone, cercando di strapparle, per una mezz’ora, ai loro impegni. La gente non ha più tempo…”. 

    Maria Sirtori Bolis, “Convivio Letterario”, febbraio 1969: ”… siamo rimasti colpiti dal segno netto delle sue figure, più incise che calligrafiche e dove il colore e le prospettive assolvono ai compiti loro assegnati con leale rispetto della realtà…”.

    Giannino Degani, Mostra dei Pittori Reggiani Contemporanei, Scuola di Ottorino Davoli, catalogo della mostra, Ente Provinciale per il Turismo di Reggio Emilia, Federazione Nazionale Artisti, “Palazzo del Capitano del Popolo”, Reggio Emilia, 1973:
“...seppe recuperare [Ottorino Davoli] a Reggio la lezione di Antonio Fontanesi [...] ebbe [L.Scorticati], come il maestro, una visione vasta ed insieme intima della campagna emiliana, la lucida mestizia nei momenti del trapasso dall’inverno alla primavera. Ritrova quell’infinito nel finito che fu l’ideale artistico di Fontanesi”.

    Il Comune di Milano conferisce al “Gruppo 20” di cui fa parte, viene conf l’“Ambrogino d’Oro, 1974”  per l’attività espositiva.

    Carlo Pellacani, Catalogo della mostra “Ritratto di Reggio”, Galleria d’Arte “Città di Reggio”, Reggio Emilia, 1974:
“oggi più che mai gli artisti delle più disparate tendenze sentono l’esigenza di ritrovare nella storia degli uomini, nello scontro degli uomini contro le potenze negative della storia, la ragione fondamentale della loro azione creativa”. 

    Carlo Pellacani, Catalogo della mostra di L.Scorticati, Galleria d’Arte “Città di Reggio”, Reggio Emilia, 1974:
“[...] scuola reggiana che trovò la sua massima espressione in Antonio Fontanesi ed i suoi epigoni in Davoli e Manicardi [...] lo è [impressionista] là dove la sua pennellata è rapida, volante, e lascia ovunque brevi note di colore puro: carminio, verde smeraldo, blu di cobalto, giallo [...] nel suo operare sembra aver sempre presente la poetica dello Sturm und Drang. Nei suoi paesaggi montani, infatti, i paesaggi boschivi si inerpicano, s’impennano, salgono rapidi verso le vette splendenti di neve e di sole…l’immagine dell’artista reggiano è volutamente fragile, diafana, lacerata e mossa dal vento, fatta di brevi note pittoriche, di una vivacità totalmente forte ma subito interrotta. La luce costituisce l’elemento determinante nella sua composizione pittorica…l’aspetto più appariscente della poetica romantica di Scorticati si ha nei paesaggi ove, al calar delle tenebre, le nature sembrano doversi sbriciolare, dissolvere in un caos pieno d’animazione [...] qui l’artista appare pervicacemente attento al segno-forma-colore e mantiene il suo periodare entro schemi di largo respiro e valida efficacia, con quella ampiezza compositiva che troviamo nelle nature morte e nei paesaggi [...] la predilezione, come mezzo, va al pastello di cera, di china, alla seppia, a ciò che non dà possibilità di ritocco, di un’esitazione, di un errore [...] caparbietà nel non considerarsi, nonostante l’età e le esperienze maturate, arrivato, nel lavorare con fede ed impegno costante, nell’amare allo spasimo la ricerca di un risultato e la propria capacità di essere artista”. 

    u.g., Personale di Scorticati alla galleria “Città di Reggio” in “L’Unità”, 14 nov.197: “... nulla di quel candore, dell’amore per la sua terra, e ce lo sussurra in un’interpretazione intimistica, rotta qua e là da una vena squisitamente romantica…Scorticati non si stanca mai di scrutare il viso delle nostre montagne, di coglierne i tratti più significativi, di svelarne i segreti più profondi, di captarne le più intime confidenze…”.

    s.f., Lanfranco Scorticati è tornato a Reggio, in “Cronache di Reggio”, 15 nov.1974: 
”… perché un pittore dovrebbe inserirsi in una scatola che non sente, ancorché di grande prestigio? Lanfranco Scorticati è fra questi, e paga la sua coerenza, il suo volontario rifiuto a sperimentazioni che avrebbero alterato fino a stravolgere la sua personalità, con una presenza umile e per nulla aggressiva, ripagata peraltro dal consenso di chi continua ad avere fede nella figurazione, nella tecnica secolare del pennello, nella tipologia umana come imprevedibile spunto creativo…”.

    Raffaele De Grada, Lanfranco Scorticati dipinge per il futuro, in “7 Giorni”, 14 apr. 1976: 
“Sembra di tornare alla pittura degli anni venti, a vedere la buona mostra che Lanfranco Scorticati espone alla Galleria S. Barnaba. Si ritorna alle fonti della pittura figurativa, dove il giudizio è sereno ed è in rapporto alla capacità emotiva e alla tecnica raggiunta per esprimerla dalla natura stessa, una natura di figure, specialmente. Leonardo Borgese, nel presentare Scorticati in catalogo, dice che i pittori come lui dipingono per il futuro, perché il mondo d’oggi non è più capace di apprezzarli. E non ha torto. Chi guarda più con naturalezza le cose, chi s’interessa più di una madre col bambino, di un rapporto umano così semplice?…E semplice, semplicissimo è Scorticati. Non dipinge a masse, per sintesi, e non usa alcun artificio del colore. Semmai qualche volta usa la spatola, per imprimere più larghezza alle sue vedute. Ma la sua è la caratteristica pennellata di chi vuol dare un movimento controllato alla figurazione.” 

    Maria Sirtori Bolis, Personale di Lanfranco Scorticati alla Galleria “San Barnaba”, in “Convivio Letterario”, apr.-mag. 1976:
“…pittura spontanea e sapiente, quella del Nostro che, aliena dall’accettazione di mode si attiene al naturale come fonte inesauribile d’ispirazione…Ogni suo lavoro è un gesto d’amore che egli generosamente e a piene mani offre alla contemplazione…”.

    Mario Monteverdi, Artisti in vetrina, conosciamoli meglio, Editrice “Selearte Moderna”, Milano 1976, p.385
“Lanfranco Scorticati è pittore talmente riservato che, in occasione di una sua recente mostra personale, quale presentazione è andato a ripescare quella che Leonardo Borgese gli aveva dedicato nell’ormai lontano 1962, lamentando peraltro sin d’allora che l’artista, già in quel tempo cinquantenne, avesse cercato di sottrarsi più che di farsi conoscere: un caso davvero singolare, per non dire unico, in un’epoca in cui molti sopperiscono alla carenza delle qualità professionali con un’ impudente scalata pubblicitaria. Scorticati, per contro, possiede tutte le migliori qualità professionali e rifugge dalla pubblicità. Possiede, anche, un suo mondo poetico e lo coltiva con un amore e un’umanità che non trovano riscontri se non raramente, al giorno d’oggi…”.

    Clara Mariani, Lanfranco Scorticati, in “Lo Zeffiro”, lug.-ago. 1978:
“Oggi, che della pittura si parla in genere con tanta leggerezza, fa tanto bene amare pittori veri che vivono coscientemente la loro professione […] questo artista, così semplice nell’animo e pulito nell’aspetto, possiede ricchezze non comuni che lo diversificano da molti altri colleghi, altrettanto vicini all’arte… con Lanfranco Scorticati si possono trascorrere innumerevoli ore parlando della sua pittura, ma non certo per sentire, attraverso le sue parole, lodi d’autocritica, bensì spiegazioni, dettagli minuziosi ed importantissimi rivolti alle tele commentate insieme…”.

    Stefano Del Bue, Presidente Ente Provinciale Turismo di Reggio Emilia, Inaugurazione Mostra Retrospettiva dell’ EPT, Palazzo Capitano del Popolo, dicembre 1963: 
“... questa rassegna fa rivivere una scuola, quella di Davoli, celebre ed amata, ed una storia, quella di Scorticati, dai lineamenti coloristici, incisivi e ancora attuali, dalle derivazioni padane che donano alla figura e al paesaggio una plasticità peculiare, esprimendo, le tele, la sintesi della sensibilità umana della nostra terra.”  

    Raffaele De Grada, in “Raffaele De Grada, Giuliano Soliani, Lanfranco Scorticati, Catalogo della mostra dell’Ente Provinciale Turismo, Sala “Capitano del Popolo”, Reggio Emilia, dicembre 1983”:
“... un pittore di mestiere accurato, che dipinge con facilità ma non a macchina, in modo ripetitivo…Ricordavamo di Scorticati, nell’immediato dopoguerra, delicate figure di donna che si pettinavano, si specchiavano, dipinte con una materia pulita, luminosa, senza quei grumi di colore che usavano allora…. Più tardi, intorno al 1960, la pittura di Scorticati, specialmente nel paesaggio, si irrobustisce, prende toni più metallici, ottenendo un notevole rilievo plastico in buone composizioni di architetture veneziane e in forti paesaggi appenninici  [...]  certo la pittura di Scorticati, che non è tutta allo stesso livello, suggerisce una ammirazione che non è tutta a suo favore. La critica d’oggi infatti, sollecitata dalle spruzzature violente dell’informale astratto espressionista non può apprezzare come dovrebbe questa amorosa, ma così semplice, serie di nudi e di ritratti, questi paesaggi che ci riportano ad un momento lirico della contemplazione [...] Io sono convinto che quando le tendenze moderne saranno definitivamente storicizzate, ci si accorgerà che pittori come Scorticati hanno ben meritato nel vasto, e felice campo di quell’arte “dello sguardo” nella quale Scorticati ha posto insigne e ormai definitivamente maturo”. 

    Soliani, in “Raffaele De Grada, Giuliano Soliani, Lanfranco Scorticati, Catalogo della mostra dell’Ente Provinciale Turismo, Sala “Capitano del Popolo”, Reggio Emilia, dicembre 1983”: 
“... è improntata alla fisicità, alla corposità della forma che vuole vivere, e del segno che la vuol far vivere  [...]  come Ottorino Davoli, anche Scorticati è uomo del naturalismo padano, con la sua tela ricca di emozionate impressioni, con uno sguardo che riattinge alle identiche materie cromatiche del maestro, con i colori dei suoi ritratti, meno deflagranti perché ulteriormente filtrati dall’esperienza francese, ma ispirati alle stesse fonti cinquecentesche e seicentesche, insomma con quei colori le cui paste, le cui miscele, scaturiscono da sorgenti cromatiche palpitanti di carne e di sangue”. Un’arte, per definizione e volontaria presa di posizione, “antimoderna” [...]  E’ sorprendente notare come l’itinerario di Scorticati non subisca, nel suo lungo cammino, alcuna influenza delle grandi correnti novecentiste che hanno attraversato la storia dell’arte italiana…” 

    Giuseppe Berti, L’eredità di Davoli, in “L’Unità”, 11 dic. 1983
” [...] Scorticati guarda alla lezione di Davoli maturo che schiarisce la tavolozza dai nerofumi della scapigliatura tardoromantica milanese e rassoda in senso plastico i valori delle figure”.

    Carla Bazzani, E’ morto Scorticati, in “ Gazzetta di Reggio”, 2 febbraio 1999:
“Caro Lanfranco, te ne sei andato senza far rumore, lentamente, in punta di piedi, avvolto nel silenzio che già da qualche anno, ma forse da sempre, vivevi nel tuo cuore. Un silenzio ricco di ascolto, di profondo stupore. Ai reggiani lasci qualcosa di te perchè hai obbedito al tuo talento, nella mitezza che si addice ai grandi”.

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